La storia di Pietro
Salve,
innanzitutto complimenti per il blog. Vorrei raccontare la mia storia, che è una storia come tante, per condividere la mia esperienza e magari avere un gentile consiglio.
Mi chiamo Pietro, ho 41 anni, e sono stato lasciato dalla donna che amo dopo circa 4 anni di relazione.
Premetto che lei ha molti problemi familiari, che non le consentono di avere molto tempo per sè, e che lei stessa, per questo motivo e anche per esperienze negative avute in passato che l’hanno segnata, inizialmente era restia ad avere una relazione. Nonostante ciò il nostro rapporto è decollato col tempo: io ho sempre accettato la situazione e cercato di darle sempre sostegno come potevo (forse perchè l’ho amata dal primo momento che l’ho vista), ho guadagnato la sua fiducia, e lei si è legata a me arrivando (almeno credevo io e per un creduto ha creduto lei…) a ricambiare i miei sentimenti. Ero felice! Pur con tutte le difficoltà di cui ero consapevole, ero e sono tutt’ora convinto di aver trovato la donna della mia vita, quella con cui costruire qualcosa di concreto, una famiglia, in futuro (anche io in passato ho avuto diverse bastonate dal punto di vista sentimentale).
Un paio di anni fa mi dice che era confusa e che voleva prendersi una pausa, dicendomi che lei non riusciva a darmi tutto quello che aveva dentro perché aveva un momento di crisi, e che meritavo di più; tra l’altro era qualche giorno che avevo capito che qualcosa non andava in lei e in un certo senso me lo aspettavo. Così, pur se a malincuore, le lascio i suoi spazi. Dopo qualche settimana abbiamo ricominciato a sentirci e, piano piano è tutto tornato come prima, anzi meglio!
Lei sembrava più innamorata che mai e ho pensato che quella “pausa” fosse veramente stata utile per fare chiarezza fra i suoi sentimenti. Per un paio di anni tutto è andato bene, mai un litigio (magari qualche banale incomprensione ma nulla di più), finché non è arrivato quel maledetto settembre scorso. Negli ultimi tempi ero io ad essere un po’ giù, ma non per lei: in estate è scomparsa una persona a me molto cara, e anche sul lavoro avevo qualche disagio (niente di irrisolvibile però)… insomma brutti periodi che capitano a tutti, ma non legati alla sfera sentimentale.
Lei torna a dirmi, e stavolta non ho colto segnali prima, che merito di più, che starò meglio senza lei e che troverò una persona che mi darà tutto il suo amore, dicendomi che forse non mi ha mai amato veramente, ha pensato di amarmi, ma che in realtà i sentimenti che provava per me erano dovuti al fatto che non ha mai trovato in vita sua un uomo così buono e comprensivo che le era stato sempre vicino in ogni difficoltà. Inoltre era il momento che poteva muoversi per risolvere i suoi problemi e aveva bisogno di star sola, sentirsi libera…e io che ho sempre sognato di vederla libera dai suoi problemi, felice, e poter finalmente mettere su famiglia per conto nostro (ne parlava anche lei di questo)!
Le chiedo allora: “se non mi ami e sai che io ti amo, perché sei tornata con me dopo quella pausa?”, e lei dice che ha sbagliato, che la colpa era sua, non si sentiva di lasciarmi perché sapeva che poi sarei stato troppo male!!! Beh…a questo non credo, se fosse cosi sarebbe durata qualche altro mese, no altri due anni! Durante le prime settimane sono uno straccio, un posacenere vivente puzzolente di whisky appoggiato sul letto…arriva il Natale e mi arriva anche un suo messaggio di auguri: in cui mi dice di non mollare mai, che lei ci sarebbe sempre stata e che mi avrebbe voluto sempre bene…un messaggio lungo, affettuoso, ma ovviamente non da fidanzata. A capodanno le faccio gli auguri per il nuovo anno e lei ricambia dicendomi che mi augurava di trovare la persona giusta e tutto l’amore di cui ho bisogno: le rispondo dicendole che non voglio nessuna persona, ma che nello stesso tempo non voglio angosciarla con il mio dolore e quindi la saluto. Qualche giorno dopo le scrivo solo per raccomandarmi di stare attenta al covid visto che era il periodo in cui stavano aumentando i casi e lei fa un lavoro con cui sta molto a contatto con le persone, senza secondi fini: mi sentivo di farlo perché ero seriamente preoccupato. Mi ringrazia e mi dice di proteggermi e aver cura di me.
Ora è circa un mese che non la sento: mi sto pian piano riattivando, mi è tornata voglia di veder gli amici, i risvegli sono leggermente più sereni e in me è come nata la consapevolezza che prima o poi tornerò a star bene. Mi manca da morire ma non voglio sentirla perché so che dopo starò peggio. A volte, malignamente, penso che mi abbia sfruttato, nel senso che si era attaccata a me solo perché non aveva altri sfoghi al di fuori della sua situazione e sapeva che in me avrebbe sempre trovato amore e conforto: poi mi pento e sto ancora più male, perché la conosco bene e so che persona buona e sensibile sia, forte ma sensibile, con grande spirito di sacrificio, le doti che mi hanno fatto innamorare.
Chiaramente i momenti di sconforto ci sono e sono molto intensi, la mente va sempre a lei e non riesco a rassegnarmi completamente, pur sapendo che è molto difficile un suo ripensamento. Sarà che ci siamo lasciati in buoni rapporti, sarà il bene profondo che comunque ha per me, sarà che forse col tempo si renderà conto dell’amore che ha perso, della persona che ha dedicato pazientemente la sua vita a lei. Lo so… sono solo illusioni, ma non riesco a non farmele e so che smettere di farmele sarebbe un passo decisivo per voltare pagina; così come sono consapevole che è ancora presto, che il percorso è lungo, la ferita è fresca, e che un amore del genere non può sparire da un giorno all’altro: ci vuole forza e pazienza.
Ne ho passate tante in vita mia, non solo sentimentalmente…so cosa significa soffrire, vivere tragedie, ripartire da zero, credevo di essere forte e invece… Vorrei voltare pagina, ma nello stesso tempo non voglio smettere di pensare a lei…
Mi scuso per lunghezza del racconto e vi ringrazio per l’attenzione.
Vi auguro buon lavoro e una buona giornata.
Ti ritrovi nella storia di Giorgia? Hai attraversato qualcosa di simile? Commenta, o condividi la tua esperienza all’indirizzo levostrestorie@amaresano.com
Innanzitutto ringrazio Pietro per aver inviato a Amare Sano questa sua email così ricca e per aver messo quindi in condivisione i suoi stati d’animo che ci danno lo spunto per avviare tante riflessioni.
Già, perché credo che a molti di noi sia capitato di essere stati lasciati e ben sappiamo quanto si stia male: si può provare rabbia, si può provare delusione, si può provare tristezza e a volte incredulità.
Viene da dire: “Ma come? Cosa c’è che non funziona?”.
Dover lasciare andare qualcuno di importante è un dolore a tratti lacerante, che può portare a vedere tutto nero, a sentirsi senza vie d’uscita. Fa mancare il fiato.
La storia che Pietro racconta mi ha fatto venire in mente una struggente canzone di Vinicio Capossela che s’intitola Ultimo amore (https://www.youtube.com/watch?v=9Nqymh2hMG8) e parla di una coppia che una sera s’incontra a ballare. Entrambi hanno sulle spalle il carico delle loro ferite, ma se Lui con Lei capì “che non era avvizzito il suo cuore”, Lei non riusciva a lasciare andare un passato che mai più sarebbe tornato.
A volte può capitare d’innamorarsi di una persona che non ha finito di fare i conti col suo passato o con ciò che di esso ancora vive nel presente. E può succedere che si possa pensare di aiutare quella persona a superare i suoi blocchi, le sue infelicità, “le esperienze negative avute in passato” che sembrano vincolare la possibilità di aprirsi al presente e a ciò che questo ha da offrire.
Ma è bene tenere a mente che abbiamo la possibilità di cambiare e agire più su noi stessi che sugli altri e che non possiamo risolvere i problemi al posto dell’altro: possiamo dare una mano, questo sì, ma solo se è l’altro a chiedercelo e se ci rendiamo conto che l’altro desideri davvero, non solo a parole, di modificare la sua situazione.
Perché il rischio d’imbarcarsi nell’impresa di cambiare la vita di un’altra persona è quello di crederci più di lei, di spostare troppo il focus sull’altro dimenticandoci di noi e delle nostre esigenze.
E può anche significare di mettersi nella posizione di chi si chiede: “Ma perché non cambia per me? Non sono forse abbastanza? Non riesco ad aiutare abbastanza?”, dubbi che possono far finire in una gabbia relazionale e che dovrebbero farci riflettere su quanto la percezione che abbiamo del nostro valore dipenda in gran parte dal rimando che ci danno gli altri, dall’immagine che gli altri riflettono di noi.
Una relazione è una strada a doppio senso di marcia: ci deve essere un avanti e indietro di attenzioni e cure, che magari non è contemporaneo perché ci possono essere momenti della vita in cui uno dei due partner ha più bisogno e quindi l’altro fa maggiormente da supporto; ma poi i ruoli si possono e si devono invertire, in un equilibrio dinamico. E allora quando Pietro scrive che negli ultimi tempi era lui a essere un po’ giù perché era scomparsa una persona a lui cara e aveva alcuni disagi al lavoro e mette fra parentesi la frase “niente di irrisolvibile però”, mi sembra che si stia giustificando per uno stato d’animo un po’ triste che è normale che capiti nella vita e nella vita di una coppia: sarebbe giusto che questo non fosse vissuto come un peso, bensì come un momento in cui aspettarsi una coccola in più e non un allontanamento.
Allora quello che vorrei dire a Pietro e a tutti noi, è che in una relazione si ha proprio diritto di essere a volte un po’ giù di tono, perché oltre a essere partner, siamo individui, con i nostri alti e i nostri bassi, le nostre gioie e le nostre giornate storte. Si ha il diritto di chiedere una mano per sé e questo non fa di noi degli egoisti, perché egoista non è chi si occupa di sé bensì chi si occupa solo di sé. E non dobbiamo scusarci per una nostra esigenza o una nostra fragilità, ma piuttosto dobbiamo entrare nell’ottica di idee che la persona con cui stiamo possa essere una fonte di aiuto e di sostegno così come noi lo siamo per lei.
Quando un amore finisce, può accadere, come sembra succeda in questa storia, che le motivazioni dell’altro non siano chiare, che si cada in una confusione dove sentiamo il dolore e lo smarrimento, ma non ci è dato di sapere cosa sia davvero accaduto: Pietro s’interroga sul perché la sua ragazza sia tornata dopo un momento di distacco e soprattutto come sia stato possibile lasciarlo dopo altri anni insieme.
Domande che saturano la mente da quanto sono ingombranti e che non possono trovare risposta se non in un confronto diretto con l’ex partner, da cui si può pretendere una spiegazione. Anche se a volte non sono chiare le motivazioni, nemmeno per chi lascia. E può capitare di tornare sulle proprie decisioni per avere la conferma che l’altro ci sia ancora, che sia ancora lì pronto ad amarci e a colmare i nostri vuoti. Perché stare soli spesso fa paura.
Si dice che in amore vinca chi fugga: non sono una sostenitrice di questo detto, ma credo che un fondo di verità vi sia in esso. Perché è dalla mancanza che nasce il desiderio. È quando qualcosa o qualcuno non c’è che possiamo sentirne la mancanza e quindi volere di nuovo con noi quella cosa o quella persona. E in una relazione di coppia è spesso importante abbandonare l’idea di un tutto pieno, di una simbiosi, di un sempre insieme e lasciare, anche in una storia lunga e duratura, un pizzico di mistero e di sconosciuto.
Quando si rimane da soli dopo la fine di un amore si ha spesso paura che non si potranno più fare quelle cose che si facevano con il partner, che non si proveranno mai più determinate sensazioni, che non si starà mai più così bene con qualcun altro.
Questi pensieri sono come degli squali che attaccano e tirano giù nel profondo degli abissi.
Ma la verità è che la fine di una storia è un lutto e come tale va vissuto, in tutte le sue fasi e con i suoi tempi: dalla rabbia iniziale, alla tristezza profonda, alla fase dell’accettazione.
Si tratta di arrivare a accettare che una perdita c’è stata e che, seppur con difficoltà, è ora di riprendere in mano la propria vita. Che è proprio quello che descrive Pietro, che da assomigliare a un posacenere puzzolente di whisky, un po’ per volta accetta di separarsi e di pensare di tornare a vivere.
Cosa mi piace? Cosa mi fa stare bene o cosa mi fa stare meno male? Chi e cosa mi aiutano? Cosa riesco a fare in questo momento? Queste possono essere domande che fungono da stella polare durante la navigazione in acque torbide e minacciose.
A proposito di ricostruire la propria vita dopo un’esperienza d’amore finita, suggerisco un testo di auto-aiuto che può essere utile in momenti simili: si tratta de “L’arte di riparare un cuore” di Duccio Baroni, della edizioni Erickson. È un vademecum che accompagna il lettore nelle varie fasi che seguono la fine di un amore, nella riacquisizione della fiducia e dell’autostima e nella maturazione di una maggiore consapevolezza di se stessi e delle relazioni.
Coraggio Pietro e coraggio a tutti noi che ci siamo trovati prima o poi in questa situazione.
Coraggio è una parola speciale perché ha un’origine etimologica particolare: deriva dal latino cor-habeo, avere cuore.
Avere coraggio non significa essere spavaldi e senza timori, ma piuttosto mettere il cuore in ciò che si fa, compreso lasciare andare e poi perseguire il proprio cammino senza rinnegare il passato, ma con uno sguardo di speranza verso il futuro ed uno sguardo benevolo e di affetto verso se stessi.
Abbia cura di sé, Pietro: se lo merita.